La capacità di percepire e sperimentare il contatto con la musica è una caratteristica prettamente umana, presente universalmente in ogni cultura. La musica ha bisogno di un complesso processo di elaborazione delle informazioni che richiede l’analisi dello sfondo acustico, della rappresentazione della fonte musicale (strumentale e vocale) e il riconoscimento della melodia, oltre che del ritmo. Tutto questo si collega anche alla nostra memoria musicale: ognuno ha dei suoni familiari che ha immagazzinato nella propria memoria. Pensiamoci, a tutti capita di sentire delle canzoni legate a momenti della vita passati, così facilmente riconoscibili che bastano poche note per individuarle. Tutto questo processo in che modo si modifica nei pazienti con malattie degenerative del sistema nervoso?
Secondo Hsieh per alcuni timbro e ritmo continuano ad essere processati mentre la memoria musicale generale si altera fin dalle prime fasi di malattia. Solo le musiche più conosciute e familiari, che fanno quindi parte della memoria autobiografica, tendono ad essere relativamente accessibili anche in fase inoltrata di malattia. Come dice Koelsch inoltre, la musica è in grado di comunicare emozioni ma poco si conosce dell’aspetto emotivo legato ad essa nei pazienti con AD. Sembra che l’esperienza emotiva non sia completamente inibita, perché i pazienti ricordano meglio parole ed eventi autobiografici con maggiore carica emotiva rispetto a quelli neutre. Johnson ritiene che per quanto riguarda le emozioni connesse alla musica, pazienti con AD possano percepire e riconoscere emozioni trasmesse dalla musica oltre a riconoscere le melodie e le parole di canzoni familiari. La musica familiare ha, infatti, un enorme potere nel facilitare la rievocazione di emozioni e ricordi personali.
Possiamo da ciò trarre delle osservazioni generali: l’impatto della musica e delle emozioni ad essa collegate è fondamentale per ogni essere umano, come ci suggerisce l’esperienza quotidiana. Ma per i pazienti con demenza l’elaborazione e di conseguenza l’accesso al mondo emotivo interiore potrebbero essere difficili, in determinate condizioni. Sarebbe opportuno, quindi, favorire quanto più possibile l’avvicinamento dei pazienti alla musica per sostenere e rallentare la degenerazione, pensando l’esposizione alla musica come un vero e proprio lavoro riabilitativo o di stimolazione cognitiva. L’uso della musica può essere quindi uno strumento di sostegno per il paziente con Alzheimer, il quale può, in alcuni momenti, ri-connettersi con melodie e parole note in grado di suscitare stati emotivi positivi, Dott.ssa Virginia Velentino.
Cantare per prevenire l’Alzheimer
La musica ha effetti positivi sui disturbi comportamentali delle persone affette da demenza, ma aiuta anche la stimolazione cognitiva, giocando un ruolo importante nella prevenzione d’Alzheimer. Si dice “Canta che ti passa!” perché l’intonare una canzone ha il potere di curare – almeno il malumore! – ed anche Giovanni Verga ne era certo quando scriveva: “Chi ha il cuore contento sempre canta”. Il potere delle parole in musica, insomma, è riconosciuto, ciò che forse è meno noto è che cantare può anche prevenire l’Alzheimer e altre malattie degenerative, perché stimola le aree del cervello associate alla memoria.
Già diversi studi avevano provato i benefici del canto sul nostro cervello, ma ora un nuovo studio dell’Imperial College di Londra ha constatato che il livello degli ormoni dello stress di 200 coristi dopo un’ora di canto era in caduta libera. Cantare attiva la secrezione di dopamina ed endorfine che aumentano il nostro stato di benessere, riducendo ansia e agitazione e contrastando stati di depressione. Ancora meglio è farlo in gruppo perché lo stare insieme e condividere esperienze può contribuire a far star bene una persona e a non farla sentire isolata. Ecco perché si usa la musicoterapia come terapia non farmacologica per curare l’Alzheimer. Soprattutto i pazienti che manifestano i primi segni di demenza possono trarre grandi benefici dalla musica: basta cantare insieme o ascoltare alcuni brani per spazzare via la malinconia.
In realtà, ciò che emerge dagli studi è che musica e canto sono anche un ottimo antidoto all’invecchiamento del cervello perché stimolano le reti cerebrali e riescono ad agire anche quando sono toccati gli ippocampi, strutture che svolgono un ruolo primordiale nella memorizzazione. Una ricerca di alcuni anni fa della Loyola University di Chicago aveva infatti scoperto che in un gruppo di musicisti d’orchestra in pensione si registravano basse probabilità di sviluppare forme di demenza in età avanzata.
La musica ha inoltre, come abbiamo detto, effetti positivi sui disturbi comportamentali delle persone malate di Alzheimer e in particolare sull’apatia: ogni canzone che ricorda al paziente qualcosa di familiare può farlo uscire dal suo stato di confusione e isolamento e se comincia a cantare – o anche solo a seguire la melodia – si stabilisce una connessione con lui, riuscendo a comunicare, anche se senza uso delle parole. “Dove le parole non arrivano, la musica parla” scriveva Beethoven.
MUSICA PARA DESPERTAR
“I pazienti non ricordano la loro data di nascita, ma ti cantano una canzone”, ha dichiarato Pepe Olmedo, psicologo specializzato in Psicologia Clinica e della Salute, che ha potuto osservare come la musica è in grado di migliorare notevolmente la vita dei pazienti con Alzheimer e altre demenze, riducendo anche il loro trattamento farmacologico. Nel corso della sua attività Olmedo ha documentato i risultati positivi ottenuti dall’ascolto musicale manifestatisi in una riduzione dell’agitazione e dell’ansia dei pazienti e nel miglioramento della loro qualità di vita, del loro umore, dei loro ricordi, del loro stato fisico e fisiologico, della loro capacità di socializzazione.
Le note musicali fanno “risvegliare” le persone affette dalla grave patologia, regalando loro momenti di vita preziosi; sembra, infatti, che le melodie possano favorire il ritorno del movimento coordinato, le emozioni intense, i ricordi di una vita e, soprattutto, la sensazione di autonomia. Attraverso la musica i soggetti tornano a sentirsi importanti, protagonisti e unici, e si godono quel momento, il loro momento; e anche se la loro vita è indelebilmente segnata da una infermità acuta il loro percorso sarà, in questo modo, più umano e amorevole possibile, fino alla fine.
Nei nostri teatri italiani durante il periodo della stagione lirica capita di incontrare figli o nipoti che portano il genitore o il nonno affetto da Alzheimer a seguire l’Opera, come faceva un tempo. È un momento emozionante vedere come i ricordi si risveglino e come trapeli la passione per la musica e per la storia di quel racconto che non è mai andata via.