https://www.youtube.com/watch?v=99Hm86GodQk
La gobbula letta e ascoltata oggi da l\’idea di una comunicazione viva e vera come un bisogno e una necessità.
La gobbula è un modo di affrontare la vita, la povertà, il lavoro con dignità e ironia, è un modo di raccontare frammenti di vita quotidiana riportandone l\’essenza, il senso, la durezza e la caparbietà che valorizza un popolo di grandi lavoratori.
La gobbula oggi rappresenta il profumo del pane e della terra, la dimensione fiabesca dei bambini che giocando per le vie della città improvvisavano canti che con la loro ironia rendevano vivo e magico il centro storico della città. Si viveva molto il presente e il futuro non era un problema ma un\’opportunità perché il niente si trasformava in tutto.
In ogni racconto vi è una grande ricchezza imparagonabile alle nuove tecnologie, seppur avanzate, ma che ne hanno stravolto e spento la semplicità e uno sguardo più attento all\’essenza vera delle cose, una ricchezza che in silenzio si è spenta dentro una vita ben diversa, più facile a livello pratico ma più difficile per contenuti, valori, fantasia, cultura e un saper fare che ha perso di autenticità andando a regredire sempre di più nelle generazioni successive per via di un netto cambiamento storico e sociologico .
La gobbula è fonte di un inestimabile patrimonio perché un albero con il tempo e le stagioni cambia le foglie ma non le radici.
Archi, Via Decimario
La Gobbula è la Regina della poesia sassarese.
Il contenuto di tali componimenti, rigorosamente in dialetto sassarese, era principalmente di buon augurio, ma dato lo spirito tipicamente sassarese non mancava la giusta dose di ironia e sarcasmo, da cogliere in un testo all’apparenza privo di senso, come nella maggior parte delle filastrocche popolari.
Una delle gobbule più famose, quella riservata alla sera dell’Epifania, è quella intitolata A cantemmu a li Tre Re ovvero Cantiamo ai Tre Re Magi “parenti stretti”, linguisticamente parlando, dei Tres Reis spagnoli, popolo dominatore dal quale la città di Sassari ha assorbito influenze nel dialetto, mescolandole alle radici toscane e corse ed a quelle liguri.
A cantemmu a li Tre Re Cantiamo ai Tre Re
Deu zi dia dugna bè Dio ci mandi ogni bene
Cantu n’ha auddu minnannu Quanto ne ha avuto mio nonno
Eddu era cozzu e lagnu Lui era povero e magro
Bibia brodu di nappa Beveva brodo di rape
Marandadda la sò cappa Mal ridotta la sua cappa
Mar’e peggiu lu sumbreri Assai più il suo cappello
Lu babbu sottu a Figheri Il babbo servo di Figheri
La mamma sijvidora La mamma domestica
La figliora era signora La figlia una gran dama
La purthaba a ipassiggià La portava a passeggio
Li puniani li bozi La prendevano in giro
Dédizi carigga e nozi Date fichi secchi e noci
E prunardha si vi n’ha Prugne secche se ne hai
E prunaldha si vi n’è Prugne secche se ce n\’è
A cantemmu a li Tre Re Cantiamo ai Tre Re
Fonte: https://www.14bnb.it/le-gobbule-sassaresi/
https://www.youtube.com/watch?time_continue=5&v=_6CFqtWWX9o&feature=emb_title
Nel sassarese la Gobbula assume la forma di composizione satirico-augurale e si presenta come una recitazione a carattere iterativo tra un parlante e un coro di voci maschili, femminili o miste, oppure come un canto monodico maschile con l\’accompagnamento di tamburello basco chiamato Trimpanu. https:// www. reteitalianaculturapopolare. org/archivio-partecipato/item/ 2787-la-gobbula-sassarese- nella-tradizione-orale-e- scritta.html
La Gobbula è frutto di una ricca attenzione da parte della città nei confronti delle proprie radici culturali con un occhio di riguardo rivolto alla matrice popolare e contadina che rimane nelle tradizioni non ancora cancellate o stravolte da modelli di cultura urbana più evoluti.
La Gobbula è poesia, è augurio, ma anche e soprattutto racconto che rappresenta un \’autentica forma di trasmissione orale di vicende ispirate a fatti di vita, quotidiana o meno, dove la realtà per ironia si mescola alla fantasia con dialoghi che non tralasciano nessun dettaglio per attirare l\’ attenzione più viva di chi ascolta diventando cosi un patrimonio inestimabile che abbraccia le radici linguistiche, culturali, storiche e musicali della città di Sassari.
Centro storico di Sassari, Vicolo Scala Mala
Canzunetti, Giogghi, Filastrocchi e Gobbuli
TERESA MANNU
Note su Teresa Mannu e su un quaderno ritrovato
Salvator Ruju inizia la raccolta “Sassari véccia e nòba” con la poesia Lu pani fatt\’in casa, dedicata a sua mamma, Teresa Mannu. Quando sua madre era già molto anziana, il figlio Salvatore, consapevole dell\’importanza di queste significative espressioni della cultura popolare e del forte rischio che andassero disperse, chiese alla mamma di trascrivere in un unico quaderno tutti i testi della tradizione orale di cui era ancora depositaria. Teresa, che era dotata di una straordinaria memoria (e che forse potè anche giovarsi dall\’aver conservato alcuni fogli volanti che nell\’Ottocento circolavano nella case del popolo), accettò volentieri la proposta, compilando con cura e attenzione il manoscritto che è stato ritrovato qualche anno fa conservato tra le carte del poeta.
Il suo quaderno ha inizio con Lu baddu tondu di Cicciu Mariottu, il giuoco cantato dai bambini durante il giro tondo, non inserito in questo volumetto perché compare già nella raccolta di Gino Bottiglioni . Così come non si è riprodotta la filastrocca che ha come primo verso L\’aria è imbugiada, un testo che, secondo quanto riferì il Nurra, veniva cantato dai ragazzi sassaresi quando il cielo si annuvolava. Dei bambini sassaresi parla anche Giuseppe Ferraro (raccolse alla fine dell\’Ottocento più di un migliaio di mutos della Sardegna settentrionale e del Nuorese) ricordando che giravano spesso per le vie accompagnando i loro canti “ con sonaglierie di cavalli e battendo tamburelli” . Non a caso anni dopo, quando il Marielli preparò il libro di cultura regionale per le scuole elementari dedicato alla Sardegna, inserì nel suo almanacco popolare anche alcune filastrocche in sassarese. Una parte dei testi compresi nel quaderno di Teresa Mannu venivano infatti probabilmente recitati con cori cantilenanti da gruppetti di pizzinni pizzoni che con la loro simpatica e beffarda ironia vivacizzavano il centro storico cittadino.https://www.salvatorruju.it/wp-content/uploads/2020/02/Nota-su-Teresa-Mannu-in-Sassari.pdf
Centro Storico di Sassari, Via Decimario
La comitiva dei questuanti spesso concludeva la Gobbula con una strofetta nonsense accompagnata da rudimentali \”strumenti\”, come una coppia di cucchiai usati come nacchere, due coperchi battuti come piatti di banda, talvolta un organetto a bocca. E\’ un caso di \”musica selvaggia\”, secondo una definizione dei rumori e dei suoni abbinati a rituali collettivi particolarmente festaioli, come i cortei di Carnevale e le \”serenate\” fatte per le nuove nozze di due vedovi. Il testo della strofetta è il seguente: Mamma tutirù e tutà/ Di mezzu rià, di mezzu rià. ( Per rià si intendeva \”un soldo\”, comunque il valore monetario più piccolo)
Le voci di Sassari. Gobbule e altri canti (A cura di Pietro Sassu) ℗ Nota
Lu Manzanu chizu chizu La mattina presto presto
Senza mancu iscì lu soli Prima che sorga il sole
Lu pobaru zappadori Il povero zappatore
S\’avvia a lu sò disthinu Si avvia al suo destino
Una zucchita di vinu Una zucca col vino
Un pani e una mela Un pane e una mela
Si piglia la sò griviera Porta la sua gruviera
Dui soldha di rigottu Due soldi di ricotta
Fattu fattu e a trottu Dietro di lui al trotto
Già s\’ avvia lu cucciuceddu S\’incammina il cagnolino
Eddu cun l\’occi bassi Lui con gli occhi bassi
Paga li tassi Paga le tasse
E lu cani si n\’ affutti E il cane se ne frega
Mamma mi zi passu in l\’ orthu Mamma passo per l\’ orto
Si lu veggu da luntanu Se lo vedo da lontano
Si mi vedi l\’ urthulanu Se mi vede l\’ ortolano
Mi zi passu lizi lizi Passo lungo il confine
Sicundi lu chi mi dizi Secondo ciò che dice
Zi lu mandu in bon\’ ora Lo mando alla buonora
Fozia acciarà la figliora Faccia affacciare sua figlia
Aggiu di dilli dui parauli Devo dirle due parole
in casa v\’ aggiu li tauri In casa ho i tarli
A Z\’ent\’anni li padroni Cen\’ anni ai padroni(di casa)
Si zi dassedi cantà Se ci lasciate cantare
Un pattu vi vogliu fà Un patto voglio fare
Non ni vogliu inscì in gherra Per evitare una guerra
Noi andemmu terra terra Noi procediamo terra-terra
Che li cristhiani vibi Come vive ogni cristiano
Tanti inoghi e tanti inchibi Uno qua uno la
Faba non non ni li vuremmu Fave non ne vogliamo
Tutti li dinà chi femmu I soldi che procuriamo
Li pinimmu a occi a sori Li asciughiamo al sole
Cariga di bon saori Fichi secchi saporiti
Dedizinni in cantidai Dateci in quantità
Un piattu a li leccai Un piatto ai lacchè
A li chi ponini fattu A quelli che si aggregano
A noi un bon piattu E a noi un buon piatto
Di chissa cariga bona Dei fichi secchi migliori
A zent\’ anni la padrona Cent\’anni alla padrona.
https://www.youtube.com/watch?v=1R1ZezFMYbg
https://www.youtube.com/watch?v=kc3P50iRHzw
https://www.youtube.com/watch?v=uXrvZTwJTdI&feature=emb_title
https://www.youtube.com/watch?v=e7AuvUnjMIk&feature=emb_title
https://www.youtube.com/watch?v=L0nsVxm2oz4&list=OLAK5uy_kHk5dIz0LdTAG2YEPwIQUfEUoObVBWmGA&index=12